Risponde Gabriele D’Uva in una intervista su Gli Stati Generali:
“E’ importante fare chiarezza su questo punto, proprio sulla base dell’esperienza acquisita in centri di eccellenza internazionali. Andare all’estero significa arricchirsi scientificamente, inserendosi in nuove frontiere di ricerca, apprendendo tecnologie all’avanguardia, stringendo collaborazioni e contatti internazionali. Si acquisiscono maturità e autonomia. Pertanto spendere un periodo all’estero è un processo assolutamente fisiologico e formativo. Sono “cervelli in formazione”. Inoltre, la permanenza fisica in centri di ricerca internazionali, consente di osservare, vivere e assorbire le modalità gestionali che sono responsabili del successo di tali centri. Ad esempio, per mantenersi sempre all’avanguardia, il Weizmann Institute recluta nuovi Principal Investigator, ovvero capi di gruppi di ricerca, che portino nell’Istituto nuove frontiere di ricerca o tecnologie, in genere apprese o sviluppate durante alcuni anni spesi in eccellenze estere.
Invece nel nostro Paese è estremamente difficile rientrare. Questa difficoltà sì che è patologica. Coloro che si sono dimostrati particolarmente meritevoli all’estero e sono impossibilitati a rientrare per mancanza di opportunità rappresentano un capitale perso dall’Italia. Quelli si che si possono definire “cervelli in fuga”.
Links:
Intervista intera di Gabriele D’Uva a GliStatiGenerali
Gruppo Facebook Ricercatori e Scienziati Italiani all’estero
Devi accedere per postare un commento.